Col del Vento: a paradise lost

La via per il Col del Vento parte da Villar Focchiardo e sale, dapprima in direzione della Certosa di Montebenedetto. Ma la strada se la lascia poi a destra e continua a salire. Al vento non interessano i suoi muri di pietra, né le leggende dei monaci e delle loro bocce d’oro.

D’oro sono invece i fiori dei maggiociondoli, che s’inchinano al visitatore come in segno di benvenuto, sfiorati appena dalla luce radente del mattino.

Al Casotto Fumavecchia comincia il sentiero. Una ventina di minuti in salita tra rocce, larici e rododendri, poi si apre il pianoro di Pian dell’Orso, fiorito di viole e genzianelle.

Oltrepassato il piano, superate visioni fantasma di cime lontane, si va verso il vento, attraversando i nevai e la prateria in cui s’aprono i crochi.

Il colle si spalanca su un paradiso perduto. Il vento fischia sull’erba.

«Potenza del carro del Vento; procede rombando con fragore di tuono. Percorrendo le strade dello spazio, non un solo giorno riposa. Soffio degli dèi, germe del tutto, libero vaga a suo talento. Ne odi il rumore ma non ne vedi la forma».[1]

Il Lago rosso, trecento metri più a valle, è una ferita antica lasciata dal ghiacciaio e dal Gravio, da una forza erosiva immensa che si è mangiata via la punta della Val Sangonetto lasciando il dirupo, un taglio netto dalla cui cresta gli stambecchi, placidi, si godono il panorama.

Σ.

[1] Rigveda 10.168.