Coronata di viole

Coronata di viole, pura, dolceridente Saffo

(Alceo)

The violet growing along the mountain path

grows for no one in particular

but people cannot overlook of forget it

(Fukuoka)

 

In questa primavera che tarda a venire, con le rondini che ancora non hanno fatto ritorno e il freddo che continua a regnare sovrano, negli angoli riparati dove il sole scalda la lettiera di foglie e la neve ormai si è arresa, finalmente spuntano le prime viole.

La storia della Viola comincia in Oriente, in Frigia, tanti anni fa. E da lì passa prima in Grecia e poi a Roma.

Dormiva Zeus. Dormiva un sonno agitato, ricco di sogni e visioni. E, senza che se ne avvedesse, durante un sogno, il suo seme cadde sulla terra, e la terra lo accolse in sé.

E il seme di un dio porta sempre frutto.

Dalla terra fecondata nacque Agdistis, mostro ermafrodita, potenza primigenia che spaventava gli Olimpi al punto che presto lo evirarono cercando di contenerne la forza. Ma, dal suo membro tagliato, germogliò una pianta, un mandorlo, che crebbe fino a portare frutto. La figlia del fiume Sangario raccolse una mandorla e se la pose in grembo, ma, in quanto seme di Agdistis, concepì. Diede alla luce un bambino bellissimo, ma, spaventata per quella gravidanza inattesa, temendo che la sua reputazione potesse venirne rovinata, lo abbandonò in un bosco. Salvato e cresciuto da un caprone, il bambino divenne un giovane avvenente: Attis.

E un giorno Agdistis lo vide, e, non sapendo che era suo figlio, se ne innamorò.

Ma il giovane Attis era promesso a Ia, ‘Viola’, figlia di re.

Nel giorno delle nozze dei giovani, il demone fa la sua apparizione e, non potendo avere il ragazzo, riversa sui giovani la sua vendetta. E la sua vendetta è un’ondata di pazzia. Attis perde il senno, si guarda attorno spaesato. Non riconosce più la sposa né la gente che gli sta attorno. Gli occhi rossi, la testa pesante, vede un coltello, lo afferra, si evira.

E muore dissanguato sul prato.

Piange Ia, piange la vedova sposa. Si avvicina al ragazzo e, con lo stesso coltello, si toglie la vita.

Dal sangue dei due, riverso sulla terra, come un tributo, come un’offerta nascono le prime viole.[1]

È un fiore luttuoso la viola, e ben presto entra nella sfera d’influenza di Persefone, la sposa di Ade, del signore di morti. Un fiore posto a consolazione delle tombe, promessa di resurrezione.[2]

Valenza funeraria che perdura almeno fino all’epoca elisabettiana, come dimostrano alcuni versi delle tragedie di Shakespeare: “The purple violets and marigolds / shall as a carpet hang upon thy tomb / while summer days doth last“.[3]

Tuttavia il mito greco sa dare alla viola anche un’altra valenza, non più legata alla fine della vita, ma al suo inizio.

È la storia, questa, della nascita di Iamo, che anch’esso porta la viola nel nome.[4] Fondatore di una stirpe di indovini, Iamo è figlio dell’amore illecito di Apollo per la mortale Evadne, “coronata di viole”. Come Attis, anche Iamo viene abbandonato alla nascita in un boschetto. Evadne ha paura che la famiglia non lo accetti, quel bambino frutto dell’amore segreto di un dio. Ma Iamo si salva per volere divino, nutrito da due serpenti con il miele che rende profeti e scaldato e protetto da una profusione di viole che spuntano attorno al suo corpo. Viole purpuree e gialle: viole del pensiero, forse Viola tricolor, ipotizza qualcuno.[5]

Σ.

 

[1] Pausania 7.17.9 ss.; Arnobio, Adversus nationes 5.5

[2] Erika Maderna, Le mani degli dèi. Mitologie e simboli delle piante officinali nel mito greco, Aboca, San Sepolcro, 2016, p. 67

[3] Shakespeare, Pericles 4.1.16-18

[4] Pindaro, Olimpiche 6

[5] M. Eleanor Irwin, Evadne, Iamos and Violets in Pindar’s “Sixth Olympian” «Hermes» 124, 4, 1996, pp. 385-395