DUE PASSI A FORESTO A FINE FEBBRAIO

Questo inverno caldo e secco mi porta presto sulla roccia, a scaldarmi, come le lucertole. E la prima ferrata dell’anno decido che sarà quella di Foresto.

M’infilo nella forra scavata nel calcare dal Rio Rocciamelone al mattino. Il sole ancora corre per superare lo schermo dei monti. L’orrido è in ombra; l’acqua scorre gagliarda facendosi largo tra le foglie secche, rimbalzando sulle rocce bianche, suonando la musica di una primavera ormai alle porte.

Una volpe guada sulle rocce a pochi passi da me mentre mi metto l’imbrago, e la sua coda folta danza nel vento ad ogni balzo.

Le cascate scrosciano impetuose, e la ferrata ci passa accanto, ne risale il tragitto, e una nebbia leggera si posa sulla pelle.

I tassi, radicati nella roccia come funamboli, sfidano la gravità e protendono nel vuoto i loro rami. La via ci corre praticamente sopra, li avvolge in un abbraccio, questi alberi sepolcrali, anticamera alla tomba di un cinghiale. È là, nella pozza. Il muso immerso e ricoperto dalle foglie secche spinte a valle dalla corrente. È scivolato sul ghiaccio ed è finito nell’orrido? La roccia gli si è rotta sotto le zampe? Sta lì, vittima muta della montagna, conservato nell’acqua fredda.

E la ferrata sale, sale sulla roccia ormai baciata dal sole.

E sui pianori, su quei pianori dal clima così insolitamente mediterraneo, dove il vento sussurra tra le foglie secche delle roverelle e gli aghi dei ginepri, vagano, alteri, i camosci.

Un’aquila s’alza sopra la forra, sfruttando le correnti ascensionali, in alto. Sempre più in alto. E i mandorli in fiore colorano di un bianco rosato il paesaggio, come in un quadro impressionista.

Lontani sono i giorni di luglio, affollati di gente che cerca sollievo dalla calura. Oggi la montagna è silenziosa. Soltanto l’acqua e il vento cantano una musica arcana.

Σ.