EPPURE ARDE…

mattie arde

Come quando si appiglia a denso bosco

incendio struggitor, cui gruppo aggira

di fiero vento e d’ogni parte il gitta:

cadono i rami dall’invitta fiamma

atterrati e combusti.[1]

 

Eppure ieri aveva anche fatto finta di piovere. Il ticchettio leggero delle gocce sulle foglie arrivava a più riprese. Sembrava quasi che il cielo dovesse riprendere fiato dopo ogni scroscio. Ma l’acqua, quell’acqua che le piante tanto agognano in questa calda estate, non era che un’illusione. Troppo poca. Buona solo a scurire per qualche ora la superficie del terreno, a specchiare, in piccole gocce sferiche sulle foglie, le nubi in corsa nel cielo.

Aveva anche fatto finta di piovere.

Poi, nella notte, si è alzato il vento. E arrivava a raffiche, squassando le piante, danzando sulle tegole scricchiolanti dei tetti. Veniva da ponente. Veniva a spazzar via dal cielo le nubi del temporale mancato.

Cielo azzurro questa mattina. E il vento ancora arriva correndo coi treni lungo la valle.

E nel pomeriggio, quel vento che porta il sapore secco dell’estate, quel vento che accarezza le piante con un caldo tocco avvizzente, quel vento che porta tra i boschi l’odore della terra riarsa – quel vento porta con sé odore di cenere e di legna combusta.

È iniziato come un sospiro. L’odore intenso di una pianta che muore, poi è cresciuto, nell’aria, il sapore d’incendio. Brucia la montagna! Dov’è? Laggiù! È Bussoleno? È Mattie? Una colonna di fumo bianco si alza in aria e il vento la disperde come un vessillo cinereo lungo il profilo dei monti.

E il vento non cessa, e alza lingue di fuoco sul profilo del bosco.

Accorrono gli elicotteri – rombi nell’aria.

Ma ancora rosseggia adesso nella notte.

E gli alberi non saranno che tristi spettri, fantasmi che si aggirano sulla cenere muta.

Σ.

 

[1] Omero, Iliade 11.155-157. Trad. it. Monti.