Dicono che l’Amanita muscaria fosse il fungo delle streghe, che fosse il trono dei rospi di loro proprietà. Un fungo malefico; un ovolaccio.[1] E certo i rospi abitano il Paradiso delle rane, dove l’ho fotografato.
Che autunno sarebbe senza il rosso del suo cappello? Cresce un po’ ovunque nei climi freschi del nostro emisfero, e non è raro trovarla nei boschi dopo le piogge autunnali. È forse il primo fungo che, fin da bambini, impariamo a riconoscere – e a temere. Ma non è poi così cattivo l’ovolaccio. Quello che spunta fuori dal terreno, infatti, è solo il corpo fruttifero, destinato a produrre le spore; il cuore dell’organismo, invece, sta sottoterra, nascosto, disperso in un ammasso di ife detto micelio, e vive in simbiosi con gli alberi (betulle e abeti, soprattutto). Le sue ife ne avvolgono le radici e dialogano con loro barattando nutrienti in cambio di zuccheri, potenziando la capacità di assorbimento delle radici stesse, aumentando la stabilità dell’ecosistema boschivo.
Fu Linneo a descriverlo per la prima volta nei termini della scienza moderna, nel 1753, e il nome che gli affibbiò fu Agaricus muscarius. Da allora è stato riclassificato, ma l’epiteto specifico è rimasto lo stesso, e pare che derivi dal fatto che si era soliti, una volta, usare questo fungo come insetticida, spappolato nel latte per attrarre e uccidere le mosche. Non solo le mosche adulte, tuttavia, ne sono attratte: la sua carne, infatti, è un alimento importante per lo sviluppo delle larve di numerosi ditteri.[2]
Muscaria… e muscarina fu chiamata la tossina isolata per la prima volta da questo fungo, e la sua scoperta ebbe grande importanza per gli studi di fisiologia. Correva l’anno 1869 quando Schmiedeberg dimostrò che tale sostanza poteva indurre eccitazione del nervo vago nelle rane (peccato che fossero rane e non rospi!). Ci fu fermento nella comunità scientifica; gli studi continuarono e si arrivò, infine, alla scoperta del primo neutrotrasmettitore, l’acetilcolina. La tossina del fungo, infatti, mima gli effetti di questo messaggero, interagendo con una sottoclasse dei suoi recettori detti, appunto, muscarinici.[3]
E tuttavia la muscarina è poca in A. muscaria, diversamente dalla letale congenere A. phalloides. Le intossicazioni da A. muscaria, per quanto gravi, raramente hanno esito letale; diversa è la situazione se si valutano le sue capacità psicotrope, indotte da acido ibotenico e muscimolo (quest’ultimo un derivato decarbossilato del primo che si genera durante l’essiccazione del fungo), che attraversano la barriera emato-encefalica e interferiscono coi recettori del GABA.[4]
Furono proprio queste sue proprietà allucinogene a far sì che molti popoli considerassero l’A. muscaria un fungo sacro, se non addirittura un dio. Nella valle dell’Ob era appannaggio degli sciamani, che se ne servivano per comunicare con l’aldilà. E in Siberia, in generale, era un fungo molto apprezzato, tanto da raggiungere prezzi esorbitanti nelle regioni in cui era raro, come tra i Coriachi, in grado di barattare senza esitazione addirittura una renna per un singolo fungo.[5]
Quanto segue è il racconto che ne fece Georg Steller nel 1774, dopo aver passato diversi anni con loro:
Le amanite vengono essiccate, quindi ingoiate in grandi pezzi senza masticarle, dopo averle lavate con acqua fredda. Dopo circa una mezz’ora, la persona ne è completamente intossicata e sperimenta visioni straordinarie. Coloro che non possono permettersela a causa del suo prezzo elevato bevono l’urina di chi l’ha mangiata e ne sono a loro volta intossicati. Sembra che l’urina sia anche più potente del fungo, e i suoi effetti permangono fino al quarto o quinto uomo.[6]
Effetti che includono visioni spaventose o felici, voglia di saltare, ballare, piangere e una distorta percezione degli oggetti circostanti, che possono apparire rimpiccioliti o ingigantiti.[7]
Per gli Oroci, popolo tunguso della Russia, l’amanita è una manifestazione tangibile degli antenati. Le anime dei morti abbandonano il corpo e migrano verso la Luna, dove si reincarnano sotto forma di funghi che poi ridiscendono sulla Terra.[8]
Tutte le caratteristiche citate finora hanno spinto alcuni a sospettare che sia proprio l’Amanita muscaria a nascondersi dietro il nome sanscrito di Soma, l’albero cosmico nonché bevanda degli dèi nonché divinità essa stessa celebrata nel Rigveda.[9]
Ma non mi addentro nella questione, che ci porterebbe troppo lontano. Torno, invece, a lidi meno esotici. Inghilterra, 1865. Lo scrittore Lewis Carrol racconta le avventure di una bambina in un improbabile e meraviglioso paese frutto di un sogno strano e curioso. E la sua descrizione degli effetti di intossicazione da A. muscaria è così precisa che c’è chi è tentato di ipotizzare che possa averne fatto uso personalmente prima di scrivere.[10]
Questa volta Alice aspettò con pazienza finché il Bruco non decise di parlare di nuovo. Dopo un paio di minuti il Bruco si tolse dalla bocca il narghilè, sbadigliò una volta o due e si stirò. Quindi scese dal fungo e si allontanò strisciando fra l’erba, dicendo solo: «Da un lato ti farà crescere, e dall’altro ti farà diminuire».
«Un lato di che? L’altro lato di che?» pensò fra sé Alice.
«Del fungo» disse il Bruco, proprio come se Alice avesse fatto la domanda a voce alta.
[…]
«E ora qual è l’uno e qual è l’altro?» si disse, e mangiucchiò un po’ del pezzetto che aveva nella destra per provarne l’effetto. Un attimo dopo sentì un colpo violento sotto il mento: questo le aveva picchiato contro il piede!
[…]
Aveva il mento talmente compresso contro il piede da non poter quasi aprire la bocca; ma alla fine ci riuscì, e fece in modo di inghiottire un morso del pezzetto di fungo che aveva nella sinistra.
«Ho la testa libera, finalmente!» disse Alice in tono giulivo, che però si mutò in allarme un momento dopo, quando scoprì che le sue spalle si erano rese irreperibili: quando guardò in basso, tutto quello che riuscì a vedere fu un collo di lunghezza smisurata che si ergeva come un gambo sopra un mare di foglie verdi giù sotto di lei.[11]
Σ.
[1] Jacques Brosse, Mythologies des arbres, Edition Plon, Paris 1989 (trad. it. Mitologia degli alberi. Dal giardino dell’Eden al legno della Croce, Bur saggi, Milano 2015, da cui si cita), p. 40.
[2] http://www.kew.org/science-conservation/plants-fungi/amanita-muscaria-fly-agaric
[3] John Mann, Murder, Magic and Medicine, Oxford University Press, New York 1992, pp. 69-70.
[4] Simona Pichini et al., Smart Durugs. Seconda edizione, Dipartimento del Farmaco – Istituto Superiore di Sanità, Roma 2008, p.9.
[5] Brosse, op. cit., p. 40.
[6] Citato in Mann, op. cit., p. 69.
[7] Ibid.
[8] Brosse, op. cit., p. 40.
[9] Ivi, pp. 41 ss.
[10] Mann, op. cit., p. 69.
[11] Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland, 1865 (trad. it. Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. Attraverso lo Specchio, Oscar Mondadori, Milano 1978, da cui si cita), pp. 55-56.