Il mais, l’impasto della vita

Photo by Christophe Maertens on Unsplash

Raccontano i miti maya che, quando gli dèi crearono la Terra e gli animali, non c’era nessuno in grado di lodarli. Gucumatz, il serpente piumato, e Huracan, il cuore del cielo, decisero allora di creare gli esseri umani. Li crearono con il fango dapprima, impastando l’argilla, ma il loro corpo era molle e non reggeva, le loro parole incomprensibili.

Su consiglio dei vecchi dèi Xpiyacoc e Xmucane, allora, fecero un secondo tentativo intagliando gli uomini nel legno dell’albero del corallo. I manichini così ottenuti erano in grado di parlare, ma i loro volti erano inespressivi, non avevano forza e i loro cuori erano vuoti e non si curavano degli dèi. Huracan scatenò il diluvio per annientarli, e i demoni della terra e le fiere ne lacerarono le membra. I pochi che si salvarono furono mutati in scimmie.

Il mondo era ancora immerso nell’oscurità primigenia, ma la prima alba sarebbe presto sorta, e Gucumatz e Huracan ancora non erano riusciti nel loro intento.

Furono il pappagallo, il coyote, la volpe e il corvo a rivelare ai due dèi l’esistenza di un posto meraviglioso, dove cresceva il mais. Gucumaz e Huracan ne raccolsero i chicchi e li portarono alla grande madre Xmucane. La vecchia si lavò le mani e macinò i chicchi di mais fino a ottenerne della farina. E con questa farina, finalmente, gli dèi ebbero successo. Impastarono quattro uomini perfetti, intelligenti e che veneravano gli dèi, e quattro donne che fossero loro compagne. E questi uomini furono gli antenati dei Maya.

Il mais rivestiva un ruolo fondamentale nell’alimentazione delle popolazioni amerinde e dicono che sia stato il grande dio Itzamna, Hunab Ku, il creatore dell’universo, a insegnare agli uomini a coltivarlo. Ma anche altre divinità quali Yum Caax e il Giovane dio del granturco sono associate alla coltivazione del mais e al suo ciclo di crescita. E, se è vero, come sostengono alcuni, che questi ultimi due dèi altri non siano se non il padre e lo zio dei divini gemelli di cui racconta il Popol Vuh, scesi a Xibalba, il regno dei morti, forse anche qui, come nel mito nostrano del rapimento di Persefone da parte di Ade, si potrebbe ravvisare l’eco del seme che muore per poi tornare a nuova vita.

Affini eppure diversi i miti aztechi. Gli uomini dell’ultima creazione (il Quinto Sole) non furono creati impastando farina di Mais, ma la farina ottenuta dalle ossa della stirpe umana precedente, affogata nel diluvio e tramutata in pesci. Farina di ossa mischiata al sangue degli dèi. E i primi bambini umani risiedevano con gli dèi nel cielo di Tamoanchan. Ma gli dèi non avevano di che nutrirli. Si dispersero allora sulla terra alla ricerca di un alimento adatto e fu Quetzalcoatl, il serpente piumato, a trovarlo: un piccolo chicco dorato di mais trasportato da una formica. Il dio seguì l’insetto fin dentro al ventre di un’immensa montagna. E scoprì che lì le formiche ne avevano accumulato abbondanti scorte. Rubò qualche chicco e tornò al cielo. E i bambini umani crebbero sani e forti con quel nutrimento. Ma i chicchi sottratti dal dio presto finirono. Come liberare la riserva di mais dalla montagna? Quetzalcoatl provò a legarla con una fune e a ribaltarla, ma non era abbastanza forte. Gli dèi decisero allora di chiedere aiuto al Quinto Sole, a Nanahuatzin, il quale, con l’aiuto degli dèi della pioggia e dei fulmini, i Tlaloc blu, rosso, bianco e giallo, squarciò in due la montagna Tonacatepetl liberando i semi. I Tlaloc li raccolsero e li consegnarono agli uomini divenendo le divinità delle messi e della pioggia che le nutre.

Basti così con la Mesoamerica. Scendendo più a sud, nella regione brasiliana del Mato Grosso, il mito che raccontano gli indios sull’origine del mais ha un che di babelico. Raccontano di un’epoca in cui non esisteva l’agricoltura, in cui gli uomini si nutrivano di foglie, funghi e legno marcio. Fu in quel periodo che una donna del cielo, trasformatasi in opossum, scese tra gli uomini e rivelò loro l’esistenza del mais. Questo mais primigenio aveva l’aspetto di un albero e cresceva selvatico nella foresta. Gli uomini, presi dalla foga di avere il nuovo alimento, abbatterono l’albero, ma troppo tardi si avvidero dell’errore. L’albero del mais non ricresceva, e dovettero dividersi i semi, disboscare la foresta e seminarli per ottenere più raccolto. Dai semi interrati nacquero le diverse varietà di mais e, con esse, le diversità dei popoli, delle lingue e dei costumi – risultato della dispersione della prima umanità.

Nei miti del Nord America, invece, il mais si lega ad altre due piante: il fagiolo e la zucca – riflesso del “pacchetto” di semi e di conoscenze che gli Indiani del nord importarono in blocco dal Messico. Racconta una leggenda irochese che all’inizio dei tempi la terra non esisteva e il mondo

Le tre sorelle (Illustrazione di Ilaria Genna per Simone Siviero, “L’orto da zero”, Pentagora 2019)

era avvolto da un oceano senza fine. Finché un giorno un’altra donna del cielo, che viveva nel mondo di sopra, non si sporse troppo da un buco del cielo e cadde. Gli animali marini plasmarono allora sul carapace di una grande tartaruga quello che oggi è il Nord America, e la donna del cielo ebbe un luogo dove abitare. Ma la donna era incinta quando cadde e diede presto alla luce una figlia. La figlia crebbe, divenne una donna e il vento dell’Ovest giacque con lei. Dalla loro unione nacquero due gemelli, ma la ragazza morì dandoli alla luce. La madre la seppellì nel ventre della terra e, come per un ultimo dono per sostentare i figli neonati, apparvero dalla sua tomba tre piante sorelle, De-o-ha-ko, “coloro che ci sostentano”: il mais, la zucca e il fagiolo.

Σ.

FONTI

Ganeri A, Miti Aztechi e Maya. Una raccolta di arte, storia e leggende. Il Castello, Cornaredo 2008.

Siviero S, L’orto da zero. Pentàgora, Savona 2019.

 

Se l’articolo ti è piaciuto, segui la pagina su Facebook e non perderti il mio ultimo libro 😉