LA DANZA DI FORESTO

L’acqua del Rio Rociamelone scorre impetuosa nella forra, scavandosi la strada tra i sassi, travolgendo i tronchi caduti e corpi degli animali scivolati nell’Orrido. Ne schianta le ossa contro le rocce, implacabile. La morte nella stretta gola.

Ma anche la vita. La vita che è quell’acqua stessa, pura, nivale, che scende a fecondare la valle come una promessa. Quell’acqua che danza e crepita, e tanto più si agita a primavera, ricca del connubio con la neve che fonde.

Vita e morte, e l’acqua canta inni eterni con voci diverse sulla roccia.

Non stupisce che Foresto fosse un luogo sacro. Una silva forestis, un nemeton, dove i druidi si trovavano a celebrare i misteri di divinità arcane e sfuggenti.[1]

Sono le Matronae, le Madri. E quando i Celti impararono dai Romani a costruire case per le loro divinità che amavano gli spazi aperti e i cieli stellati, proprio a Foresto edificarono un tempio alle Matrone, nello spazio dove ancora oggi si erge il campanile della vecchia chiesa romanica.[2] Sono divinità dei monti e delle fonti, dei corsi d’acqua che bagnano la Valle. Sono le forze della natura; la vita che danza nell’acqua delle cascate; la declinazione plurale della Grande Madre che sotto nomi diversi l’uomo ha da sempre onorato.[3]

E l’acqua ha continuato a scorrere a Foresto; le Madri han continuato a danzare. I Celti sono tramontati; la gloria dei Romani s’è spenta. Ma loro han continuato a danzare. Hanno danzato attraverso i secoli bui del Medioevo, quando il nemeton s’è fatto oscuro, e il canto dell’acqua diabolico. Masche le chiamavano: streghe. Le streghe danzano negli orridi illuminate dalla luna, e i loro sabba son tanto più frenetici quanto più intenso è lo scrosciare dell’acqua sulle rocce.[4]

E un altro essere dicono che si fosse insinuato scivolando silenzioso sulle rocce spaccate, lasciando dietro di sé immonde strisciate biancastre.[5] Là dove vita e morte si congiungono, dove si chiude e si ripete all’infinito il cerchio della vita, che altro se non un immenso serpente poteva generarsi? Forza ctonia e primigenia, mefistotelica e ferina, ma anche uroboro cosmico in cui tutto si rigenera.

Ma è destino che i serpenti sacri, ipostasi di culti antichi e dimenticati, periscano sotto i dardi delle religioni più nuove. Così era accaduto a Delfi, dove Pitone cedette il posto al suo uccisore, Apollo. Così accadde a Foresto, dove fu un altro cacciatore di demoni a compiere l’opera civilizzatrice liberando la forra dal mostro: S. Martino – e il nome del picco che sovrasta l’orrido (Truc San Martin) ancora ne celebra l’impresa.[6]

Σ.

[1] Natalino Bartolomasi, Valsusa antica. Volume I, Editrice Alzani s.a.s., Pinerolo  1975, p. 49.

[2] Pierangelo Lomagno, Il regno dei Cozii. Una dinastia alpina di 2000 anni fa, Priuli e Verlucca editori, Ivrea 1991, p. 41.

[3] Bartolomasi, op. cit., pp. 272 ss.

[4] Michele Ruggiero, Tradizioni e leggende della Valle di Susa, Editrice Piemonte in Bancarella, Torino 1970, pp. 19-20.

[5] Ruggiero, op. cit., p. 83.

[6] Natalino Bartolomasi, Valsusa antica. Volume II, Editrice Alzani s.a.s., Pinerolo  1985, pp. 503-504.

2 Risposte a “LA DANZA DI FORESTO”

  1. Grazie per questa pagina !
    Mi ricordo che da bimbo, a casa, il rio lo chiamavano Lamarre…
    Io credo che fossi “L’Amare”.
    Ne ho parlato una volta con il Bartolomasi a Susa, e lui mi ha detto che non sbagliavo.
    Le acque scorrevano di tanto in tanto sopra una zona, dove, lo raccontavano lo zio Marcello e il mio babbo, c’era rame. Io sono andato a percorrere la zona, ma ci sono state frane e non ho potuto confirmare…
    La zona la conosco, ma ora gli anni e la salute mi impediscono cosi alte passeggiate.
    Natalino voleva mostrarmi le sue scoperte e poi si è spento…
    Abbiamo perso una grande figura della Valle.
    Lo zio Marcello se n’è andato anche lui il 7 di agosto, colla sua memoria favolosa. Io sono in Francia ma non dimentico le mie radici forestine.

    1. Grazie a te per la lettura e l’interessante commento!
      Non ho avuto la fortuna di poterlo conoscere, il Bartolomasi, ma ci ha lasciato un’eredità immensa nei suoi scritti…
      Σ.

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