LA FONTE DI SAN GIUSTO

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Inizi del X secolo. Giusto, monaco di Novalesa, fugge, col compagno Flaviano, dalle incursioni che i Saraceni compiono in Valsusa. I due trovano rifugio nei boschi sopra l’attuale abitato di Beaulard, in una grotta strapiombante su un dirupo. La fuga ha consumato le loro forze, ha stremato i loro corpi, ma l’acqua è finita. Si ritirano in preghiera, con la schiena poggiata contro la fredda roccia ed ecco che, nel momento del bisogno, una sorgente si fa strada tra le crepe della parete e sprizza, gelida e cristallina, saltando sulle pietre.

E Giusto, dopo morte, fu fatto santo, e quella sua sorgente per dei secoli fu oggetto di venerazione. Come a una piccola Lourdes alpina, ancora all’inizio del secolo scorso gli ammalati vi giungevano in pellegrinaggio e ne eran sanati.

Una cappella fu costruita dove sorgeva la grotta che diede riparo al santo, distrutta da una frana. Una cappella che, stando alla leggenda, non poteva sorgere che lì. Più volte si cercò di costruirla un po’ distante dalla sorgente, in un luogo meno strapiombante e più facilmente accessibile, ma sempre, nottetempo, materiali, arnesi e perfino i muratori stessi, se avevan l’ardire di montare la guardia, venivano trasportati da una qualche forza misteriosa accanto all’acqua. E la cappella, come ancora recita l’epigrafe sopra la porta, fu consacrata a San Giusto, San Luca e a Maria Madre del Buon Soccorso.

E, in questo epiteto di madre che ancora reca Maria, alcuni scorgono, come altrove, l’influsso di ere passate, l’influsso di quelle Matres o Matronae celtiche patrone delle acque che donano vita. Patrone di quella sorgente che, in fondo, potrebbe essere ben più antica[1].

E ancora è lì. Scorre ancora dai meandri oscuri della storia. Un’acqua freddissima e pura che, sgorgando in due punti dalla roccia, circonda la cappella come in un abbraccio. “Così, con un gesto ancor più devoto, bere l’acqua nel cavo delle mani o direttamente alla sorgente, fa sì che penetri in noi il sale più segreto della terra, e la pioggia del cielo”.[2]

Here, have you ever tasted this water?[3]

Σ.

 

[1] Natalino Bartolomasi, Valsusa antica. Volume II, Editrice Alzani s.a.s., Pinerolo  1985, p. 509.

[2] Marguerite Yourcenar, Mémoires d’Hadrien suivi de Carnets de notes de Mémoires d’Hadrien, Éditions Gallimard, Paris 1974 (trad. it. Memorie di Adriano seguite da Taccuini di appunti, Einaudi, Torino 2002, da cui si cita), p. 11.

[3] Stephen Harrod Buhner, The Lost Language of Plants, Chelsea Green Publishing, White River Junction, Vermont 2002, p. 6.