La madre delle acque e le lavandaie

 

C’è una fontana, a Beaulard, che riporta, su un cartello di legno, le parole di una poesia di Nino Costa:

 

Acque dël mé pais, ciaire cascade

ch’i  sboche dai giassé, tra ròch e ròch,

e i saote giù dai brich con frange e fióch

për riposeve ‘nt l’ombre dle valade,

acque vive ‘d Piemont […]

 

E vive erano davvero,un tempo, queste acque che, dalle creste nivali dei monti scivolano a valle e si buttano, grigie della neve disciolta, nella Dora. Dora che, per i Celti, era l’acqua stessa, dalla radice dur o duir che appunto ‘acqua’ significava.[1] Acqua, o forse Madre delle acque, Matrona Duria, fiume divino del regno di Cozio, sacro alle Matrone, che un po’ ovunque, lungo il suo corso, avevano luoghi di culto. Dalla sorgente sul Monginevro (Mons Matronae, appunto), ad Avigliana, dove il fiume abbandonava le terre celtiche per fluire placidamente ad incontrare il Po a Torino[2]. Divinità delle acque fecondatrici, dèe madri di vita, anche le Matrone, però, tramontarono col mutare dei tempi e l’arrivo del Cristo da Oriente.

Ma l’acqua ne conservò la memoria.

Il Medioevo europeo pullula di figure sovrannaturali connesse ai fiumi. Sono spiriti, spettri, quel che resta di divinità antiche, forse più antiche ancora delle Matrone stesse. Sono le Lavandaie. Fantasmi di donne morte di parto, splendide dame bianche, vecchie canute nella cui figura vita e morte si confondono in un’eternità ciclica, come in un mulinello tra i sassi del fiume presso cui son condannate a lavare i panni ancora e ancora.[3]

Chiamate coi nomi più diversi a seconda della regione in cui le si incontra, le Lavandaie possono essere spiriti benigni, che lavano i panni altrui e li rendono candidi, spietate assassine, pronte ad annegare chi le incontri, o profetesse di sventure e psicopompe, come le donne dell’aldilà di area gaelica (bean sídhe in Irlanda; bean shíth in Scozia – Banshee).

 

Lungo la via oltrepassarono un ruscello. Presso la sua riva videro una fanciulla inginocchiata vicino ad un guado, che lavava gli abiti e l’armatura di un guerriero, e l’acqua scorreva rossa di sangue. Alla vista di Cu Chulainn, la ragazza tirò fuori dall’acqua una corazza macchiata di sangue e la tenne alzata davanti a lui. Cu Chulainn riconobbe la sua armatura.

      «Chi è quella donna?» chiese al suo auriga.

      «È la Lavandaia del Guado, Cu Chulainn» disse Laegh. «È figlia della dèa della guerra e lava gli abiti e le armature di coloro che stanno per morire».[4]

 

Ma se, da un lato, abbiamo la conferma, attraverso il gallese modron, corradicale di matronae, che le dèe madri celtiche divennero Lavandaie, dall’altro, in Val Susa avvenne qualcosa di particolare: questi spiriti fluviali femminili, in alcuni casi, cambiarono sesso.

Se ancora è possibile scorgere dietro alle tres virgines sacras di cui parla il Chronicon Novaliciense (5.47) l’aspetto femminino delle Matrone, poco prima nel testo (sempre 5.47) compare un Diabolus […], antiquus homicida che si diverte ad annegare la gente nella Dora – compito, come s’è visto, peculiare di alcune raffigurazioni delle Lavandaie.

E non è solo il lato violento ad essere diventato appannaggio maschile. Si narra infatti che nelle acque della Dora si nascondano gli arfai, spiriti maschili benigni che aiutano le lavandaie – quelle vive, umane, in carne e ossa e, perché no?, quelle belle – a lavare i panni: glieli rubano di nascosto, e glieli fanno trovare l’indomani stesi sui prati, candidi e puliti come non mai.[5]

Σ.

 

 

[1] Pierangelo Lomagno, Il regno dei Cozii. Una dinastia alpina di 2000 anni fa, Priuli e Verlucca editori, Ivrea 1991, p. 23. Cf. Natalino Bartolomasi, Valsusa antica. Volume I, Editrice Alzani s.a.s., Pinerolo  1975, p. 270.

[2] Bartolomasi, op. cit., pp. 270-271.

[3] Per questo e i successivi riferimenti alle lavandaie, vedi Francesco Benozzo, Le lavandaie notturne nel folklore europeo: per una stratigrafia preistorica, in S. M. Barillari e A. Scibila (a c. di), «Dark Tales. Fiabe di paura e racconti del terrore. Atti del I convegno di studi sul folklore e il fantastico, Genova, 21-22 novembre 2009», Aracne, Roma 2013, pp. 79-100.

[4] Katia De Marco e Lorenzo Carrara (a c. di), Saghe e leggende irlandesi, RCS Libri, Milano 2005, pp. 63-64.

[5] Michele Ruggiero, Tradizioni e leggende della Valle di Susa, Editrice Piemonte in Bancarella, Torino 1970, p. 84.