LE FARFALLE DAI MOLTI OCCHI

polyommatusDicono che un tempo sia vissuto, nel Peloponneso, un uomo di nome Argo che aveva cento occhi sparsi su tutto il corpo. Dicono che sia stata proprio questa sua caratteristica a far sì che Era lo scegliesse per fare la guardia a Io, la figlia del fiume Inaco, di cui Zeus si era invaghito e che, per ingannare la consorte, aveva trasformato in una giovenca. Ma dicono anche che il re degli dèi non abbia sopportato di vedere sorvegliata la sua amante e che abbia mandato Ermes ad ucciderne il carceriere. E dicono che Era, una volta morto il suo scagnozzo, ne abbia trasferito gli occhi sulle penne del suo uccello sacro, il pavone.[1]

Eppure, quando la scienza moderna (ri)cominciò, con Linneo, a dare un nome a tutte le cose, il pavone dovette accontentarsi, a detrimento del suo passato mitico, di un misero Pavo cristatus.

Così il mito della ragazza amata da Zeus e del suo carceriere si perse nel nome del pavone, ma riemerse, come da una crisalide, nelle farfalle. C’è infatti una sottofamiglia delle Lycaenidae che è stata chiamata Polyommatinae (‘dai molti occhi’) per via delle numerose macchie bianche puntate di nero presenti sulle ali. E la più famosa di queste farfalle è, forse, l’Icaro (Polyommatus icarus), anche chiamata, con maggiore attinenza al mito peloponnesiaco, Argo azzurro.

E di questa farfalla parlerei, se non fosse che, in una tranquilla giornata d’agosto, mentre ero intento a fotografare le increspature smeraldine del Lago Verde di Valle Stretta, non fu lei a posarsi su un masso proprio davanti al mio obiettivo, ma un esemplare della somigliantissima e congenere specie Polyommatus coridon.[2]

Considerata una specie moderatamente termofila, P. coridon è sopravvissuta al gelo dell’ultima era glaciale trovando rifugio in Italia e nei Balcani, da dove, in seguito, è partita per colonizzare i prati calcarei (chalk-hill blue è infatti il suo nome inglese) d’Europa fino ai 2000 metri di quota sulle Alpi. Il suo areale di distribuzione è prevalentemente europeo (se si esclude una zona molto ristretta dell’Asia occidentale a nord del Mar Caspio) e spazia dalla Penisola iberica ai Balcani, dal sud del Peloponneso al sud dell’Inghilterra e alla Polonia, evitando le fredde temperature della Scandinavia.

Il ciclo di questa farfalla comincia nella tarda estate, quando una femmina, dopo essersi accoppiata, depone le uova vicino alla pianta che ospiterà le larve, di solito tra l’erba secca o sul muschio. La larva sverna protetta all’interno dell’uovo e solo quando il tiepido sole della seconda metà di marzo comincia a scaldare l’ambiente circostante ne esce. Il bruco, verde e giallo, cresce in fretta, nutrendosi quasi solamente di sferracavallo (Hippocrepis comosa), ma, in zone dove non è presente, può adattarsi a mangiare l’erba ginestrina (Securigera varia), anch’essa una leguminosa. Privo di protezioni intrinseche contro i predatori e le vespe che possono parassitarlo depositando all’interno del suo corpo le proprie uova, il bruco ha sviluppato una stabile forma di simbiosi con le formiche dei generi Lasius, Tetramorium e Myrmica: protezione in cambio di cibo. Grazie a delle ghiandole speciali, infatti, è in grado di produrre un liquido ricco di zuccheri e aminoacidi di cui le formiche vanno ghiotte.

All’inizio di giugno, il bruco ha mangiato a sufficienza, ed è pronto per trasformarsi in pupa. La crisalide, normalmente, si trova vicino al terreno, nei pressi della pianta ospite, e spesso, nei paraggi, c’è anche un formicaio di guardia.

Un mese dopo, a partire dalla metà di luglio, dalle crisalidi cominciano a emergere i maschi adulti, e dispiegano al sole le loro ali azzurre. Le femmine, dalle ali marroni, dovranno aspettare ancora una settimana. Gli adulti, a differenza delle larve, non sono costretti a cibarsi di una sola pianta, ma raccolgono il nettare da più specie appartenenti alle famiglie delle Lamiaceae, Compositae, Caprifoliaceae e Leguminosae, con una certa predilezione per i fiori viola di Origanum, Scabiosa, Knautia e Centaurea. Non è raro vedere più individui riuniti nelle zone fangose per bere o, a sera, gruppi di farfalle dormienti sulla vegetazione.

Ma le sere d’estate, per quanto lunghe, passano in fretta, e le farfalle devono approfittare del tempo concesso loro per riprodursi prima della fine di Agosto, periodo in cui, una dopo l’altra, cominciano a morire.

Σ.

 

[1] Ovidio, Metamorfosi 1.583-750.

[2] Le informazioni su P. coridon che seguono sono tratte tutte da Thomas Schmitt, Biology and biogeography of the chalk-hill blue Polyommatus coridon – insect of the year 2015 for Germany, Austria and Switzerland, «Nota Lepi.» 38 (2) 2015, pp. 107-126.