LO CHABERTON E LA POLVERE DELLA STORIA

chabertonNon ci sono croci, se non improvvisate col fil di ferro; non ci sono Madonne né bandiere di preghiera sullo Chaberton. La sua cima turrita non si offre al cielo come un altare, ma lo viola, quasi, minacciandolo di guerra.

E di guerra parlano anche i luoghi che circondano la montagna, a cominciare da Cesana, la celtica Gaesao, protetta dal gaesum (la lancia) di Segomo, il dio della guerra le cui aquile ancora pattugliano i cieli[1]. E ancora il Colle de Clôt des Morts, dove assiderarono i soldati francesi; la Roche Charnieres, che, nel 1514, vide Francesi e Spagnoli affrontarsi. E Desertes, che la tradizione vuole teatro di sanguinosi scontri per i pascoli tra i valligiani.

Ma l’emblema della guerra, sullo Chaberton, è il suo forte, che da lontano ne cinge la vetta come una corona. Costruito tra il 1898 e il 1905, era un’opera colossale. Una lunga batteria parzialmente scavata nella roccia e protetta da uno spalto ottenuto spianando la cima del monte fungeva da basamento per otto torri. Sulla sommità di queste, altrettanti cannoni ruotabili protetti da cupole d’acciaio. Cannoni Armstrong da 149 mm puntati sui forti di Briançon e inviolabili, nel loro nido d’aquila.

Le armi, però, diventano obsolete in fretta, e nel ’40, con l’aviazione e nuovi cannoni in grado di raggiungerlo dal basso, il forte non era più così invulnerabile.

E i Francesi non tardarono a liberarsi della spina nel fianco che lo Chaberton rappresentava.

Erano le cinque del pomeriggio del 21 giugno, e il giorno prima gli Armstrong dello Chaberton avevano bombardato i forti Janus e Gondran. Erano le cinque del pomeriggio, quando nell’aria esplose la prima cannonata delle 57 che distrussero la fortificazione italiana. Al riparo del forte dell’Infernet, nei pressi di Briançon, invisibile dalla montagna, il tenente Miguet aveva schierato 4 obici pesanti Schneider da 280 mm, che ebbero in breve ragione delle torrette montane. Solo il meteo avverso fermò il bombardamento, ma il forte sullo Chaberton non era, ormai, che una rovina e, al termine del conflitto, la montagna passò alla Francia[2].

Scontri ed esplosioni, e il cozzare del ferro e della pietra.

Ma se la cima dello Chaberton resta un museo a cielo aperto degli scontri tra gli uomini, il ventre del monte cela le tracce di ben più antiche e catastrofiche convulsioni.

Dolomie formatesi nel Triassico (220-210 milioni di anni fa), assieme a scisti e calcari che, generatisi nel Giurassico (200-180 milioni di anni fa), ancora racchiudono al loro interno conchiglie e coralli, si sono ritrovate proiettate in alto, a 3000 metri d’altezza quando, a partire da 130 milioni di anni fa, il fondo dell’Oceano Ligure-Piemontese cominciò a contrarsi avvicinando l’Africa e l’Europa fino allo scontro, avvenuto 100 milioni di anni fa che, con terremoti ed esplosioni vulcaniche che fanno impallidire quelle degli obici francesi, s’innalzarono le Alpi[3].

Σ.

[1] Natalino Bartolomasi, Valsusa antica. Volume I, Editrice Alzani s.a.s., Pinerolo  1975, pp. 250-251. Cf. Cesare, De bello gallico 3.4.

[2] Aldo Molino, Chaberton, l’inutile fortezza, «Piemonte Parchi» 124, febbraio 2003, pp. 8-10.

[3] Gianni Boschis, Camminare sul fondo dell’oceano scomparso, «Piemonte Parchi» 168, agosto/settembre 2007, pp. 30-31.