Lo scalone dei morti

scalone-mortiLa notte era densa di nubi basse che si sfilacciavano sulle montagne, ultimo strascico della perturbazione passata. La Sacra era avvolta nella nebbia. Piccole gocce d’acqua sospese galleggiavano nell’aria come brandelli di stracci fantasma.

La luna, velata, emanava una pallida opalescenza diffusa.

I canti dei monaci durante il mattutino rimbalzavano sulle pareti di pietra della chiesa e si perdevano nell’aria. Poi, così come erano sorti, rompendo il silenzio della notte con la loro armonia, sfumarono fino a cessare. I confratelli si trattennero nell’edificio ancora per un po’, a chiacchierare. Ma non lui. Lui aveva sonno. Terminata la preghiera, desiderava solo riprendere il proprio posto nel suo giaciglio e rubare ancora qualche magra ora di riposo alla notte, prima che sorgesse il sole.

Aprì la pesante porta di legno, che cigolò sui cardini; accese la lanterna e cominciò a discendere lo Scalone dei Morti. I riflessi rossi della fiamma danzavano in un gioco di luci e ombre sui teschi sbiancati dei monaci di un tempo che, allineati sugli scalini, lo fissavano dalla profondità delle loro orbite vuote con muto memento mori.

Quella visione lo aveva sempre turbato, e rabbrividì quando, d’un tratto, s’alzò il vento. S’infilò ululando su per la scala, spaventando i pipistrelli, che cacciarono acute grida. Percosse con potenza le antiche pietre e lo investì in pieno, spegnendogli la lanterna.

Buio.

Deglutì a fatica.

Si sentiva osservato da quegli occhi morti, e incerto se continuare a scendere le pietre levigate e scivolose di quella ripidissima scalinata.

Poi, pian piano, i suoi occhi si adattarono all’oscurità e un pallido raggio di luna, aiutato dal vento che spazzava le nubi, s’insinuò attraverso la finestra.

Ma soltanto per palesare l’orrore.

Il teschio del gradino su cui si era fermato cominciò a muoversi, grattando la pietra. Si avvicinava, compiendo piccoli balzi in avanti, e il suo sorriso sembrava una maschera diabolica.

La lampada gli cadde di mano, frantumandosi sulla pietra.

Abbandonò di colpo ogni incertezza e, preso dal panico, risalì gli scalini a due a due, correndo come una bestia braccata e gridando a gran voce che il Diavolo era entrato nella fortezza dell’Arcangelo.

Aveva il fiatone quando raggiunse i confratelli in chiesa. Nei suoi occhi il terrore profondo di chi ha visto l’antico Nemico.

L’abate cercò di calmarlo e, assieme agli altri monaci, scese anch’egli le scale.

E il teschio era ancora lì. Procedeva incerto lungo il gradino.

Ma, quando lo vide, il vecchio abate sorrise. Si avvicinò, poggiò la lampada a terra e sollevò l’antico cranio:

un topo si allontanò squittendo e si perse nella notte.[1]

Σ.

 

[1] Sonia Maura Barillari, in S. M. Barillari e A. Scibila (a c. di), «Dark Tales. Fiabe di paura e racconti del terrore. Atti del I convegno di studi sul folklore e il fantastico, Genova, 21-22 novembre 2009», Aracne, Roma 2013, p. 12.

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