Il re dei ghiacci

Rocciamelone. Forse uno degli oronimi alpini più difficili da interpretare. Sembra che il nome stesso, come la montagna, sia protetto da uno strato di ghiaccio che ostacola l’analisi etimologica, che impedisce di arrivare alla roccia e di svelarne il mistero.

Svariate le ipotesi che sono state avanzate.[1] Come svariati furono i popoli che attraversarono la Valle di Susa o che, in un modo o nell’altro, estesero la propria influenza culturale fino ai piedi della Montagna. Ed ecco, allora, comparire nell’elenco delle possibilità il celtico Roc-Maol (‘roccia-sommità’), il grecizzante Roc-melon (il ‘monte delle pecore’, a cui tale bestia veniva sacrificata), il ligure Roc-melun (‘roccia-altezza’), il quale, magari, avrebbe subito l’influsso del fenicio molek (‘sacrificio’) convertendosi in Roc-molon o Roc-mulé (o -molé) fino a generare poi, in latino, Ro-muleus, prima forma attestata in un documento scritto: Ad dexteram na<m>que huius monasterii partem habetur montem Romuleum excelsiorem cunctis montibus sibi adherentibus.[2]

Quale che fosse il nome originario della montagna, una cosa è certa: la sua cima innevata svettante nel cielo come una torre posta a guardia di Susa fu da sempre oggetto di culto. Ad essa è rivolto l’altare coppellato dell’acropoli segusina, e l’arco costruito in onore di Augusto incornicia il monte nel suo fornice.

L’acqua delle sue nevi che fondono reca con sé un segreto di vita per gli animali che popolano le oasi xerotermiche ai piedi della montagna e per gli uomini che abitano alla sua ombra e che a Foresto, dove quell’acqua ribolle fra le rocce dell’Orrido, innalzarono anticamente un tempio alle Matrone, alle dèe della fertilità.

Quando i Romani giunsero in Valsusa, si trovarono davanti una schiera formidabile di picchi innevati. Feroci, gelidi, crudeli. Ben diversi dalla mitezza dei sette colli della città tiberina. Montagne divine. Eroiche. Raccontano che il primo a valicarle sia stato Ercole.[3] E due altari dedicati a Ercole sono stati rinvenuti, uno a Susa e l’altro a Usseglio, quasi a incorniciare il Rocciamelone, come se la montagna stessa, in epoca romana, fosse passata sotto la tutela dell’eroe greco (e del suo padre divino, Giove, come un nuovo Olimpo nostrano).[4]

Algida e inaccessibile, la montagna rimase a lungo inviolata (almeno nelle cronache). Si raccontava che vi fosse un re, Romolo, che passava l’estate sulla sua cima per l’amenità del luogo e del lago glaciale. E questo Romolo sarebbe stato ricchissimo, e avrebbe nascosto un immenso tesoro nelle viscere della montagna. Ma a nessuno era consentito scalarla; non era lecito trovare quel tesoro.

Narra il Cronista di Novalesa di aver sentito la storia di un vecchio che, assieme a un amico, si era messo in viaggio per raggiungere la cima. Il cielo era limpido, e l’assenza di nubi aveva fatto ben sperare. Ed erano quasi arrivati i due, quasi avevano raggiunto la sommità del monte quando, dal nulla, era comparsa una fitta cortina di nubi. L’oscurità si era fatta palpabile. Una frana rombava sopra le loro teste con la voce del tuono. A stento erano riusciti, aiutati dal solo tocco delle mani, a ritrovare la via di casa.

Né aveva avuto più successo la spedizione organizzata da Arduino il Glabro, conte di Torino, armato di croce, acqua santa, vessilli regali e litanie cantate dalla processione di chierici che lo seguiva. Cum ignominia sunt reversi. Un disastro totale.[5]

Bisogna aspettare il XIV secolo perché l’alone di terrore crolli e sia attestata la prima ascensione in vetta. Bonifacio Rotario, nobile di Asti con possedimenti anche a Susa, viene fatto prigioniero dai Turchi e si affida alla Madonna. In cambio della libertà le promette di portare un trittico di bronzo raffigurante la sua immagine sulla più alta cima del Piemonte (e poco importa che il Rocciamelone non lo sia) e di costruirvi una cappella.[6]

Ma anche nel suo caso l’ascesa non riesce al primo tentativo. Bonifacio e i suoi uomini devono accamparsi a quota 2854 m, dove in seguito sorgeranno una cappella e un rifugio ancora oggi detto, in suo onore, Ca’ d’Asti. La perseveranza portò i suoi frutti qualche tempo dopo, e Bonifacio, scavata una grotta in cima perché fungesse da cappella, vi depose il trittico. Al centro c’è la Madonna col Bambino; a sinistra San Giorgio a cavallo che uccide il drago; a destra, Giovanni Battista presenta il dedicante a Maria. Sotto corre, in due righe latine, l’iscrizione seguente:

 

Qui mi ha portato Bonifacio Rotario, cittadino di Asti, in onore del Signore Nostro Gesù Cristo e della Beata Maria Vergine, nell’anno del Signore 1358, il giorno 1° di settembre.

 

E così la montagna sacra cambia di nuovo fede. Consacrata alla Madre di Dio, diventa meta di pellegrinaggio, e Maria comincia ad essere chiamata Madonna del Rocciamelone.

Col passare degli anni, però, le condizioni della montagna peggiorano. Gli inverni si fanno più freddi, le nevicate abbondanti e il ghiacciaio, durante la “Piccola era glaciale alpina”, avanza.[7] E nel 1673 un tale considerato un po’ tocco, volendo far piacere al Duca Carlo Emanuele II e risparmiargli la fatica dell’ascensione, ruba il trittico dalla cima del monte e glielo porta al castello di Rivoli, dove trascorreva l’estate.

Non tornerà mai più in vetta.

Viene esposto nella chiesa dei Padri Cappuccini di Rivoli, poi, con una solenne processione, è riaccompagnato a Susa, nella Cattedrale di S. Giusto. E ancora a Susa è oggi, esposto nel Museo Diocesano.

Duecento anni più tardi, nel 1895, nasce l’idea di costruire il monumento a Maria più alto, di far diventare la Madre di Dio patrona d’Italia. Ed è grazie alle offerte mandate dai bambini di tutto il Regno che si compie l’opera, e il bronzo prende la forma della Vergine. Papa Leone XIII dà la sua benedizione e detta l’epigrafe:

 

Alma Dei Mater

nive candidior

Maria

lumine benigno Segusiam respice tuam

Ausoniae tuere fines

Caelestis Patrona.

O Maria

Gran Madre di Dio

più di neve candida

riguarda con occhio benigno la tua Susa

e proteggi

Celeste Patrona

i confini d’Italia.

 

Divisa in otto parti, la statua raggiunge la vetta, portata dal giovane corpo degli Alpini, il 28 luglio 1899 alle 10 del mattino.

E ancora è lì la Madonna del Rocciamelone, ultima erede di culti antichi

Sta lì, Regina dei ghiacci sul trono di re leggendari.

Sta lì, candida di neve e più di neve candida, e guarda a est. Guarda l’Italia, e il sole che sorge le bacia la fronte e illumina il suo abbraccio eterno che chiude l’orizzonte.

Σ.

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[1] Natalino Bartolomasi, Valsusa antica. Volume I, Editrice Alzani s.a.s., Pinerolo  1975, p. 54.

[2] Chronicon Novaliciense 2.5. / “A destra, infatti, di questo monastero, si trova il monte Romuleo, che è il più alto di tutti i monti circostanti”.

[3] Petronio, Satyricon 122.144 ss. Cf. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia 3.134.

[4] Bartolomasi, op. cit., p. 11 e 230.

[5] Chronicon Novaliciense 2.5.

[6] Le informazioni sul trittico e sulla statua di Maria sono tratte da Gian Piero Piardi, Il Rocciamelone ieri e oggi, Editrice Melli, Borgone Susa 1999, pp. 16 ss.

[7] Aldo Molino, Il Rocciamelone, montagna sacra e protetta, «Piemonte Parchi» 197, luglio 2010, pp. 31-33, p.32.