RÊVERIE D’UN CARTHAGINOIS SOLITAIRE

moncenisioLe nuvole s’addensano sul Moncenisio, e dal fondo del lago svuotato riemergono vestigia di ere morte. Strade, dighe, forti sommersi. Antichi, eppure così recenti!

Ma l’arcano è nel fango. In quel fango che si spacca al sole come in una terra desolata. In quel fango dove rimangono impresse le orme dei turisti che, curiosi, esplorano il fondo. E lì, in quel fango, chissà che non siano rimaste impresse ben altre impronte, in un tempo prima del tempo, quando la montagna era giovane e la diga ancora non c’era.

Passi di uomini calcati nel fango. Erano africani, ispani, celti, … e le orme immense degli elefanti.

E poco importa se il valico non fu davvero questo. Tutte le Alpi occidentali si contendono il suo passaggio, un po’ come tutte le isole greche si contendono la nascita d’Omero.[1]

A me piace pensare che sia passato di qui. Ma poco importa. Fu un sogno. Un sogno di potenza sospinto dai freddi venti montani; un sogno di grandezza che ha travolto le Alpi come una tempesta viaggiando sulle ali delle nubi.

Dicono che avesse nevicato, in quei giorni, e tramontavano le Pleiadi nell’autunno.[2]

Dicono che non avesse ancora trent’anni.

Dicono che fosse il favorito di Baal; un fulmine.

E come un fulmine le luci di un esercito immenso si sono sparse serpeggiando nel buio delle notti alpine; come un fulmine Annibale è giunto a Susa, rimpinguando le schiere; come un fulmine s’è abbattuto su Torino e in tre giorni l’ha rasa al suolo.

Come un fulmine mentre s’addensano le nubi su questo angolo di storia. Come un fulmine è passato, e ora non resta che una pallida rêverie che si perde nel vento. E, lontano, riecheggia ancora nella memoria dei monti il barrito degli elefanti nella neve.

Σ.

 

[1] Vedi Massimo Centini, Sulle orme di Annibale. Un’indagine sul territorio, Editrice Il Punto, Torino 1996, p. 84.

[2] Polibio 3.54.1.