SAN GIOVANNI, L’IPERICO E UN RAGNO TROVATO PER CASO

24 giugno. San Giovanni Battista. Il solstizio d’estate è appena passato, e le giornate cominciano a farsi più brevi. Cala, giorno dopo giorno, il regno delle tenebre sul mondo.

San Giovanni. Racconta una leggenda valsusina che in questa notte i demoni dell’aria, eccitati dalla cappa di calore, copulino negli strati bassi dell’atmosfera, lasciando cadere il proprio seme a contaminare i fiumi e le sorgenti. E allora si accendano i fuochi sulle montagne! Fuochi per scacciare i demoni; fuochi che, forse, sono più vecchi dei diavoli stessi. Forse furono i Celti i primi a illuminare la notte del solstizio con grandi falò per dar forza a Beleno, il dio del sole, per aiutarlo a splendere ancora.[1] O forse i fuochi d’artificio che in questa notte illuminano il cielo hanno un’origine ancora più lontana, persa nella notte dei tempi.

 

Ma non solo il fuoco ha funzione apotropaica. Il 24 giugno è la notte dell’Iperico, dell’Erba di San Giovanni, il cui fiore è ipostasi della ruota solare e brucia con odore d’incenso.[2]

 

St. John’s wort doth charm all the witches away,

if gathered at midnight of the saint’s holy day.

And devils and witches have no power to harm

those that do gather the plant for a charm.

Rub the lintels and post with that red juicy flower:

no thunder nor tempest will then have the power

to hurt or to hinder your houses: and bind

round your neck a charm of a similar kind.

 

Così recita un’antica poesia inglese, riassumendo ciò che si credeva che l’iperico fosse in grado di fare.[3] Se raccolto in questa notte magica, sa tenere lontane le streghe e i demoni e, spalmato sugli stipiti delle porte, preserva le case e i loro abitanti dalla devastazione, quasi che, nella notte dei diavoli, il suo succo scarlatto diventi immagine del sangue dell’agnello, di quell’agnello immolato durante la prima Pasqua, in terra d’Egitto, quando il Signore è passato tra le case con flagello di sterminio.[4]

Hypericum perforatum L. è una pianta erbacea dai fiori gialli che ama gli incolti soleggiati, e non è raro trovarla lungo le strade. Il suo nome scientifico pare derivi dalle parole greche hypèr e eikon, ‘sopra l’immagine’ per il fatto che, nell’antichità, c’era l’uso di porre dei fiori d’iperico sopra le immagini sacre per allontanare, appunto, gli spiriti malvagi. L’epiteto perforatum, invece, indica una qualità delle foglie, qualità già nota alla teoria delle segnature, che vedeva nelle “ferite” della pianta un valido mezzo per sanare quelle umane. Se si pongono le foglie in controluce, infatti, si possono osservare tante piccole macchiettature simili a forellini. Sono, in realtà, ghiandole che secernono una sostanza di colore rosso intenso (basta raccogliere qualche fiore per ritrovarsi le dita colorate di rosso-viola) cui la tradizione ha attribuito un collegamento col sangue del Battista perché, secondo alcuni, la massima pigmentazione si raggiungerebbe il 29 agosto, anniversario della decapitazione del santo. Altri, invece, collegano l’erba a S. Giovanni per il fatto che era usanza raccoglierla nella notte del santo.

Gli usi esorcistici della pianta sono antichi come il mondo, e le si attribuivano anche capacità divinatorie: le ragazze in età da marito la usavano per sapere se si sarebbero o meno sposate entro l’anno e, osservandone il grado di appassimento, sarebbe stato possibile determinare quale, degli abitanti di una casa, sarebbe morto per primo.

Ma le virtù dell’iperico non si limitano a questo. Come dimostra la tradizione d’uso, che è stata continua per tutta l’antichità fino ai giorni nostri, la pianta possiede spiccate qualità medicinali. Studi recenti dimostrano l’efficacia dell’infuso in caso di depressione[5], mentre l’oleolito fu inserito già nella prima Farmacopea londinese come Oleum Hyperici per guarire escoriazioni, ferite ed ematomi.[6]

Però. C’è un però. L’uso medicinale dell’iperico può avere alcune controindicazioni. In generale, dopo un trattamento a base di iperico, la pelle diventa fotosensibile, e sarebbe bene evitare di esporsi al sole. Inoltre, se assunto per via orale, rischia di interagire con il metabolismo di molti farmaci (tra cui la pillola anticoncezionale) inibendo il CYP3A4, il principale enzima addetto al metabolismo dei medicinali.[7] È bene, pertanto, consultare un medico prima di farne uso.

 

E l’uomo, tuttavia, non è il solo ad apprezzare l’iperico, come dimostra la foto, scattata sulla mulattiera che porta alla Sacra di San Michele. La posizione svettante dei fiori consente infatti a questa femmina di Misumena vatia di piazzare la propria trappola. Starà lì, immobile sui fiori dorati, e comincerà a sintetizzare un pigmento liquido giallo concentrandolo nello strato cellulare più esterno del corpo. Dopo qualche giorno, quando la sua colorazione sarà completa, gialla su fiori gialli, sarà pressoché invisibile agli insetti che, attratti dal polline dei fiori, si avvicineranno per bottinare. Ed ecco che scatta l’imboscata. Come un fulmine, si avvicina all’insetto e, senza dargli la possibilità di difendersi o di fuggire, lo blocca e lo uccide con un unico morso velenoso all’attaccatura del capo.[8]

Il giorno di San Giovanni non tutti i demoni volano per aria.

Σ.

 

[1] Michele Ruggiero, Tradizioni e leggende della Valle di Susa, Editrice Piemonte in Bancarella, Torino 1970, p. 37.

[2] Loredana Matonti, Iperico il miracolo del solstizio, «Piemonte Parchi» 176, giugno 2008, p. 31.

[3] Christopher Hobbs, St. John’s Wort – Ancient Herbal Protector, «Pharmacy in History» 32, 4, 1990, pp. 166-169.

[4] Cf. Esodo 12.

[5] http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/mod_viewtopic.php?t=5325

[6] Christopher Hobbs, St. John’s Wort – Ancient Herbal Protector, «Pharmacy in History» 32, 4, 1990, pp. 166-169.

[7] Notiziario SISTE 5, anno 15, maggio 2016, p.20.

[8] Heiko Bellmann, Guida ai ragni d’Europa, Franco Muzzio Editore, Roma 2011, p. 266.