IN PROCESSIONE SUL MUSINÈ

processionarieUna mulattiera coi sassi lucidati dal passaggio continuo degli escursionisti costituisce il primo tratto di sentiero che porta alla cima del Musinè; una mulattiera costeggiata, ad ogni tornante, dalle bianche edicole di una via crucis che sale, serpeggiando, fino alla chiesetta di S. Abaco.

Ma la montagna ospita anche altre e più frequenti processioni: lunghe catene di bruchi che si spostano, in fila indiana, tra i sassi aranciati e sui tronchi dei pini.

Il Musinè è una montagna strana, assolata, torrida – un'”arida schiena del formidabil monte […] la qual null’altro allegra arbor né fiore” l’avrebbe forse definita Leopardi se l’avesse conosciuta prima del Vesuvio. L’acqua della pioggia non si ferma, non s’infiltra nel terreno roccioso, ma scorre, ruscellando, a valle, scavando profondi canali nella pietra rossa di ferro. E fino a non molti anni fa, il fuoco divorava spesso la sparuta vegetazione che osava crescervi.

Un paesaggio marziano, quasi, soprattutto sul versante sud, dove il sole è più inclemente. Le piante sono poche e, fra tutte, spiccano i pini, con le chiome punteggiate di nidi di seta: i bianchi ricoveri delle bande di processionarie (Thaumetopoea pityocampa).

Questi bruchi, ricoperti di peli urticanti, vivono in gruppo, nutrendosi voracemente degli aghi delle piante del genere Pinus, arrivando anche a defogliare un’intera pianta. Vivendo insieme possono facilmente avere la meglio sulle difese degli alberi che attaccano, che non riescono a produrre abbastanza in fretta metaboliti di difesa e a convogliarli verso la parte di chioma interessata[1].

Le estati quasi mediterranee di questo angolo alpino, inoltre, e l’assenza di un vero e proprio bosco che, mandando nell’aria odori di piante diverse, disorienti le falene nella loro ricerca[2], fan sì che non ci sia quasi un pino che non sia stato attaccato.

Le falene adulte emergono dal terreno, dove hanno passato un periodo lungo anche sei anni nella forma di pupa, verso la fine dell’estate, e subito si accoppiano e depongono le uova. Queste vengono ancorate ad un ago di pino, protette da un ammasso di piccole scaglie pelose e, quando si schiudono, generano la colonia di bruchi, che tesse il proprio nido e comincia a divorare le foglie. Quando i bruchi hanno mangiato a sufficienza, e sono diventati della dimensione giusta per trasformarsi in pupe, scendono in lunghe processioni dai tronchi e vagano sul terreno alla ricerca di un anfratto dove infilarsi e attendere di diventare farfalle.

Sono insetti che amano un clima di tipo mediterraneo, e il loro areale di distribuzione, sia in latitudine sia in altitudine, è regolato dal freddo[3]. Se temperature inferiori ai -16°C risultano essere fatali, è anche vero che molti bruchi, in inverno, possono morire letteralmente di fame. Quando la temperatura scende sotto gli 0°C, infatti, non sono più in grado di nutrirsi, e, se le temperature rimangono basse per molto tempo, la conseguenza è la morte. Inverni rigidi, dunque, limitano l’espansione delle falene.

Ma negli ultimi trent’anni si è assistito a un progressivo innalzamento delle temperature medie invernali, e non è raro che ci siano splendide giornate di sole anche a gennaio o febbraio, con temperature ben al di sopra dello zero. E in queste giornate, i bruchi delle processionarie continuano imperterriti la loro opera di defogliazione, e, pronti per trasformarsi in pupe, abbandonano, in pieno inverno, le loro abitudini arboricole e, sottoterra, protetti da eventuali cali di temperatura, attendono.

Σ.

[1] Tomás Pérez-Contreras et al., Why do Pine Processionary Caterpillars Thaumetopoea pityocampa (Lepidoptera, Thaumetopoeidae)Live in Large Groups? An Experimental Study, «Annales Zoologici Fennici» 40, 6, 2003, pp. 505-515.

[2] H. Jactel et al., Non-host Volatiles Mediate Associational Resistance to the Pine Processionary Moth, «Oecologia» 166, 3, 2011, pp. 703-711.

[3] Andrea Battisti et al., Expansion of Geographic Range in the Pine Processionary Moth Caused by Increased Winter Temperatures, «Ecological Applications» 15, 6, 2005, pp. 2084-2096.