Il sorbo degli uccellatori

sorbo uccellatoriLungo i sentieri di Valle Stretta l’autunno incipiente s’annuncia, prima ancora che s’indorino le foglie, nel rosso aranciato dei pomi dei sorbi. Gli alberi ne sono carichi. Piccoli frutti riuniti in corimbi che s’agitano nel vento.

Il genere Sorbus si è differenziato nell’Asia sudorientale, per poi migrare, pian piano, verso l’Europa, dove si è adattato straordinariamente al freddo.[1] Sorbus aucuparia, infatti, cresce bene in zone caratterizzate da una corta stagione vegetativa, dalle foreste di betulle subalpine della Scandinavia alle Alpi fino a 2000 metri. Cessa velocemente di allungare i giovani rami, e s’affretta a lignificarli prima che arrivi il gelo dell’inverno.[2] Normalmente non supera i centocinquant’anni di vita, ma dimostra una caparbietà senza pari nel far fronte alle avversità dell’ambiente montano. Le radici delle giovani piante, spesse e fibrose, non temono il freddo, e sopportano anche temperature di 5 gradi inferiori allo zero. Anche i danni meccanici non lo spaventano: nel giro di una settimana è in grado di rimarginare le ferite causate dagli animali che si strofinano contro il suo tronco.[3]

I piccoli pomi, che maturano a fine agosto, restano sull’albero durante l’inverno, e gli uccelli ne sono ghiotti, tanto che in Scandinavia alcune specie migratrici come la cesena (Turdus pilaris), se c’è abbondanza di frutti, svernano in loco.[4]

E gli uccelli ne trasportano i semi, che germinano nella prima o nella seconda primavera, dopo che il freddo ne ha inibito la dormienza.[5] Dormienza che altro non è che un ulteriore adattamento di questa pianta ai rigori degli inverni alpini. Se il seme germogliasse subito, in autunno, la giovane piantina sarebbe ancora troppo tenera e fragile al sopraggiungere della neve. Riposando invece protetto dal tegumento del seme, l’embrione è poi pronto a nascere in primavera, quando le temperature si sono innalzate ed è passato il rischio di gelate.

La sua predilezione da parte degli uccelli era nota agli uomini d’un tempo, che lo piantavano nei pressi dei capanni dove attendevano le loro prede volanti: sorbo degli uccellatori, appunto – aucuparia, da aucupium, ‘uccellagione’.

Il nome “sorbo” pare invece derivi da due parole celtiche indicanti un ‘pomo aspro’.

Ma se nell’Europa meridionale e centrale (cfr. il tedesco Vogelbeere, ‘bacca degli uccelli’) il nome riflette i gusti dell’avifauna, al Nord, l’etimologia di forme come il norvegese Rogn, il norvegese antico Reynir, lo svedese Rönn e lo stesso inglese Rowan è interpretata in maniera diversa. C’è chi li fa derivare, in ultima analisi, dalla stessa radice di red, alludendo al colore dei piccoli pomi;[6] e c’è chi, invece, li avvicina alla scrittura segreta delle rune, che sul legno di sorbo venivano incise.[7]

Quel che è certo, è che una valenza sacra quest’albero l’aveva. Per i Celti era l’albero dell’Aurora dell’anno, e presiedeva al mese di Cerdinen (o Luis), dal 21 gennaio al 17 febbraio. I suoi frutti nutrivano gli dèi, e la sua presenza bastava a tenere lontano i fulmini, le streghe e gli spiriti – spiriti che, invece, potevano venire invocati bruciando il suo legno.[8]

E non poche sono le occorrenze nel Kalevala, il poema epico che racchiude lo spirito di una Finlandia ancora da venire, abitata da fabbri incantatori, donzelle e forti cavalieri persi nella polvere della storia come sotto una tormenta di neve.

Per le popolazioni finniche, il sorbo era l’albero sacro della famiglia, e veniva piantato nei cortili delle case. Così una giovane sposa saluta la casa natale prima di seguire il marito, il fabbro Ilmarinen, salendo sulla sua slitta:

 

Ti porgo, corte, il mio saluto,

aia con tutti i tuoi sorbi!

Sarà dolce il mio ritorno,

bello scorrazzare ancora.

Rivolgo a tutti il mio degno saluto:

alle terre ed ai boschi coperti di bacche,

ai margini dei viali orlati di fiori,

alle brughiere rivestite d’erica,

ai laghi punteggiati di cent’isole,

agli stretti brulicanti di coregoni,

ai dolci poggi tempestati d’abeti,

alle vallate silvestri fitte di betulle.[9]

 

E così l’eroe Kullervo distrugge il villaggio dei propri nemici lasciando in piedi soltanto il focolare e l’albero sacro:

 

Ebbe la spada che desiderava,

la miglior di tutte le sciabole,

così sbaragliò l’intera armata,

annientò la truppa d’Untamo.

Diede alle fiamme le capanne,

ridusse in polvere ogni cosa:

rimasero le pietre del focolare,

un alto sorbo nella corte.[10]

 

Infine, non bisogna dimenticare il valore del legno di sorbo per i lavori di ebanisteria e di intaglio. È un legno duro, compatto ed elastico e veniva usato per fabbricare mobili, flauti, slitte e componenti delle imbarcazioni:

 

I remi di legno duro si flettevano,

gli scalmi di sorbo sbattevano,

la barca di buon pino vibrava,

la prua spruzzava come una foca,

la poppa scrosciava come una cascata,

l’acqua gorgogliava in grosse bolle,

la schiuma montava in ampie sfere.[11]

 

Σ.

 

[1] Olivier Raspe et al., Sorbus aucuparia L., «Journal of Ecology» 88, 5, 2000, pp. 910-930, p. 925.

[2] Ivi, p. 911.

[3] Ivi, p. 915.

[4] Ivi, p. 923.

[5] Ivi, pp. 916 e 922.

[6] http://www.etymonline.com/index.php?allowed_in_frame=0&search=rowan

[7] Ernesto Riva, L’universo delle piante medicinali. Trattato storico, botanico e farmacologico di 400 piante di tutto il mondo, Tassotti Editore, Bassano 2011 (19951), p.132.

[8] http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=13864

[9] Elias Lönnrot, Kalevala. Il grande poema epico finlandese, a c. di Marcello Ganassini, Edizioni Mediterranee, Roma 2010, Runo 24, vv. 451-462 (p.209).

[10] Ivi, Runo 36, vv. 243-250 (p.288).

[11] Ivi, Runo 43, vv. 86-92. Cfr. http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=13864