ACQUA CHE PUNISCE: L’ATLANTIDE DELLE ALPI

aviglianaL’acqua passa e cancella, purifica, elimina il peccato e le miserie, fa piazza pulita delle nefandezze dell’uomo ponendo le basi per un nuovo inizio. È così da sempre. Gli dèi mandano le acque per cancellare dalla terra gli uomini iniqui. Un battesimo, un’immersione violenta che lava e rigenera.

E tutta la letteratura ne porta traccia. Dell’acqua mandata dagli dèi si parla nei primi frammenti epici conservati, così come nella moderna letteratura mitopoietica. Di diluvio parlano le tradizioni mesopotamiche confluite in quel grande amalgama epico che va sotto il nome comune di epopea di Gilgameš; di un’isola di uomini elevatisi a sfidare le potenze sprofondata nel mare racconta Tolkien nell’epica più recente.

Dal 2500 a.C. all’altro ieri, sempre l’acqua che punisce. Con tutte le varianti del caso.

Ed ecco che si ha il grande diluvio della tradizione classica, in cui il signore del fulmine manda le acque a distruggere il genere umano perché in tutta la terra regna l’Erinni feroce e gli uomini si sono uniti in una delittuosa congiura[1].

Ed ecco Platone, con la sua isola di Atlantide, inabissata a causa del comportamento degli abitanti, voltosi al male, lontano dalle leggi celesti[2].

Ed ecco il diluvio della tradizione biblica.

Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. […] Allora Dio disse a Noè: “È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. […] Ecco, io sto per mandare il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne in cui c’è soffio di vita”. […] In quello stesso giorno eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono. Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti[3].

Ed è, con ogni probabilità, quest’ultimo il testo che fu alla base di un fenomeno curioso avvenuto all’imbocco della Valle di Susa, perché, com’è noto, i miti viaggiano con  le popolazioni e radicano, risemantizzando il paesaggio, in luoghi talvolta ben lontani dalla loro terra d’origine.

Siamo, precisamente, ad Avigliana, dove l’ultima grande glaciazione pleistocenica, quella würmiana, scolpì nel paesaggio di 120mila anni fa due conche adiacenti che, allo sciogliersi dei ghiacci, divennero due laghi, separati da un sottile istmo di terra.

Le leggende, però, che di scienze della terra sanno ben poco, tramandano i fatti in maniera diversa. Si dice che molti anni fa, esattamente nella zona che oggi ospita i laghi, sorgesse un ricco e fiorente borgo, i cui abitanti, però erano egoisti e inospitali al punto da scacciare fuori dalle mura cittadine chiunque fosse trovato a mendicare. Fu così che, un giorno, Gesù scese ad Avigliana vestendo le spoglie di uno straccione (o era forse la Vergine col bambino, come raccontano alcuni?). Tutti lo scacciarono. Nessuno lo accolse. Nessuno lo ristorò. Nessuno tranne una vecchia, che lo accolse nella propria baracca e gli offrì l’ultimo pezzo di pane che aveva. Commosso e adirato al contempo, Gesù decise allora di punire la durezza di cuore di quella gente e, in una sola notte, il paese sprofondò nel ventre della terra e le acque di quelli che ora sono i laghi ricoprirono l’abitato. Solo rimase emerso il sottile lembo di terra su cui s’ergeva il tugurio della vecchia ospitale – quello stesso lembo di terra che ad oggi separa i due laghi[4].

Σ.

 

[1] Ovidio, Metamorfosi 1.240-241 e ss.

[2] Platone, Crizia.

[3] Gen. 6.5,6,13,17; 7.11-12.

[4] Michele Ruggiero, Tradizioni e leggende della Valle di Susa, Editrice Piemonte in Bancarella, Torino 1970, pp. 71-72.