In un battito d’ali di farfalla

A volte in Valsusa i morti ritornano. Riecheggiano nei nomi delle cose. E Chiomonte pare essere un luogo evocativo in tal senso. Il Testamento di Abbone (739 d.C.) ci lascia l’antico nome del paese: Camundis, ablativo di Camundae. Una strana assonanza, fa notare qualcuno, con il nome di una dèa indiana, Camunda, a cui, un tempo, si offrivano vittime umane.[1] E se l’India pare lontana dai paesi alpini, non lo è, tuttavia, culturalmente. I Celti erano una popolazione indoeuropea; le dottrine druidiche avevano i loro punti di contatto con quelle indiane. Se alle dèe madri indiane si offrivano sacrifici umani, non è detto che non li si offrisse anche alle loro omologhe alpine, le Matrone. Sacrifici umani che, peraltro, in ambito celtico sono ben attestati.

E non solo in ambito celtico. Anche i Greci, nell’epoca più arcaica, li praticavano. Gli Achei avevano ottenuto il favore dei venti per giungere a Troia grazie al sacrificio di Ifigenia. E per dieci anni avevano combattuto sotto le mura della città di Priamo. Omero non lo racconta – ce lo narrano le epopee posteriori – ma Priamo aveva una figlia, la più giovane, di nome Polissena. Pare che Achille l’avesse conosciuta e se ne fosse innamorato. Pare che avesse anche progettato di tradire gli Achei pur di averla in sposa, prima che Paride, all’oscuro del fatto, lo uccidesse con la famosa freccia nel tallone. E pare che Polissena sia stata catturata una volta conquistata la città, e sacrificata sulla tomba dell’eroe per placare la sua ombra e per favorire il ritorno dei Greci in patria. Pare che sia stato Odisseo a istigare al sacrificio, ma, apparentemente, a lui non fu esattamente propizio…[2]

Ma il ritorno di Odisseo è un’altra storia, e l’ha già raccontata un tale di nome Omero.

Quel che m’interessa qui è quella ragazza di nome Polissena, morta sacrificata e che ora ritorna, in Valle, in un battito d’ali di farfalla.

Zerynthia polyxena appartiene a una tribù di farfalle (Zerynthinii) che si è evoluta accanto alle piante di aristolochia. Simile per abitudini è l’americana Battus polydamas (tribù Troidinii), della medesima famiglia (Papilionidae), che è forse la specie più studiata tra le farfalle dell’aristolochia. L’aristolochia produce acidi aristolochici, tossici per l’uomo e per molti animali, ma queste farfalle hanno imparato a usarli a proprio vantaggio. Gli acidi aristolochici sono sostanze amare, ed è grazie a loro che i lepidotteri sono in grado di riconoscere la pianta di aristolochia su cui deporranno le uova. Una volta che queste si saranno schiuse, le larve si nutriranno delle sue foglie, guidate dall’azione fagostimolante degli acidi. Man mano che i bruchi mangiano, sequestrano gli acidi aristolochici, in maniera tale da diventare sgradevoli ai predatori, e li concentrano nelle ghiandole dorsali (osmeterium) collocate dietro la testa. Se disturbati o attaccati, i bruchi sono in grado di estroflettere l’osmeterium rilasciando secrezioni contenenti alte concentrazioni di questi acidi.

Gli acidi aristolochici permangono nel corpo dell’insetto per tutta la vita, anche se in concentrazioni diverse, e anzi, l’imago (la forma adulta) ha un modo affascinante di comunicarlo ai predatori nella variopinta colorazione delle ali, chiaro esempio di mimetismo aposematico – un modo per gridare al mondo che non vale la pena di mangiarla, tanto ha un saporaccio.[3]

Ma chi è dunque, Zerynthia polyxena, questo fantasma che vola nelle nostre radure? Il suo ciclo vitale è interamente legato all’aristolochia, di cui si nutre (preferibilmente Aristolochia rotunda o Aristolochia pallida) e su cui depone le uova.[4] Una volta raggiunta la forma adulta, la sua vita è breve: quattro giorni e mezzo, in media; una ventina al massimo.[5] Poche settimane per riprodursi e deporre le uniche uova della sua vita.

Difficilmente colonizza aree montane, raramente si spinge sopra i 900 metri. Raramente. Ma, a quanto pare, ci sono eccezioni.

La sua storia viene da lontano, da un passato ben più remoto di quello di Chiomonte e dei suoi sacrifici, più remoto anche dell’epica greca. È una storia che comincia circa 800mila anni fa, quando i suoi antenati, spinti dall’incalzare dei ghiacci del Günz – la prima delle glaciazioni che investirono l’Europa nel Pleistocene – trovarono rifugio nei climi relativamente miti della penisola italiana e di quella balcanica. Gli anni sono passati, e le due popolazioni, divise da oceani di ghiaccio, si sono speciate, dando origine a quelle che ora conosciamo col nome di Zerynthia cassandra e Zerynthia polyxena. Due specie sorelle, come sorelle sono le eroine di cui portano il nome.

Zerynthia cassandra è tota nostra: si è sviluppata in Italia e il suo areale di distribuzione non supera il Po. Zerynthia polyxena, invece, si è distribuita in Italia a nord del Po, in Francia, nell’Europa centrale e orientale, e viene dai Balcani. Viene dalla Grecia, e dalla Grecia reca con sé il ricordo di un sacrificio.[6]

È una farfalla fragile, legata a un habitat caratteristico e in grado di riprodursi solo una volta all’anno, e proprio per questo è entrata a far parte della Direttiva Habitat, allegato IV, dove si elencano le “specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa”.[7] Proprio per questo: per evitare un altro sacrificio.

Σ.

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[1] Natalino Bartolomasi, Valsusa antica. Volume I, Editrice Alzani s.a.s., Pinerolo  1975, p. 55.

[2] Pierre Grimal, Dictionnaire de la mythologie grecque et romaine (trad. it. Enciclopedia della Mitologia, Garzanti, Milano 1999, da cui si cita), s.v. Polissena.

[3] Horacio A. Priestap, Alvaro E. Velandia, Jodie V. Johnson, M. Alejandro Barbieri, Secondary metabolite uptake by the Aristolochia-feeding papilionoid butterfly Battus polydamas, «Biochemical Systematics and Ecology» 40, 2012, 126-137.

[4] Jana Slancarova, Pavel Vrba, Michal Platek, Michal Zapletal, Lukas Spitzer, Martin Konvicka, Co-occurrence of three Aristolochia-feeding Papilionids (Archon apollinus, Zerynthia polyxena and Zerynthia cerisy) in Greek Thrace, «Journal of Natural History» 49, 29-30, 2015, 1825-1848.

[5] Tatjana Čelik, Adult demography, spatial distribution and movements of Zerynthia polyxena (Lepidoptera: Papilionidae) in a dense network of permanent habitats, «Eur. J. Entomol.» 109, 2012, 217-227.

[6] Leonardo Dapporto, Speciation in Mediterranean refugia and post-glacial expansion of Zerynthia polyxena (Lepidoptera, Papilionidae), «J. Zool. Syst. Evol. Res.» 48, 3, 2010, 229-237.

[7] Direttiva Habitat 92/43/CEE (allegato IV)